Le principali compagnie energetiche mondiali stanno iniziando la virata che le porterà ad orientare il proprio portafoglio sempre più sulle rinnovabili e sempre meno sui combustibili fossili…
In questi mesi, Shell, BP, Chevron, Royal Dutch Shell, Total, Saudi Aramco, Statoil e alla fine anche Exxon, hanno iniziato a investire una
quota consistente del loro budget nel settore delle energie rinnovabili o si sono almeno impegnate a farlo presto.
Tre ragioni per un cambio di strategia:
Prima di tutto, nonostante la
presa di posizione degli Stai Uniti sui temi degli accordi di Parigi, si fa sempre più pressante la necessità di mostrare a governi, agenzie pubbliche e private – e soprattutto agli
investitori – un impegno attivo per contrastare il cambiamento climatico.
Inoltre, il prezzo medio del petrolio offre margini di profitto non entusiasmanti. Gli accordi OPEC – Russia si sono rivelati efficaci nel mantenerlo sui 55 $ al barile in modo da tagliare
fuori dal mercato il concorrente Brent del Mare del Nord e l’olio di scisto americano.
Le compagnie energetiche si trovano tuttavia a immaginare sempre di più il proprio futuro e – una dopo l’altra – si stanno rendendo conto che è strategico diversificare il proprio
portafoglio sia per l’enorme potenziale che offrono le rinnovabili sia per la sempre più elevata competitività che le energie verdi iniziano a mostrare nei confronti dei fossili. E
ciò, anche al netto di incentivi o disincentivi statali.
Nel 2017 le energie rinnovabili (esclusa l’ormai satura frazione dell’idroelettrico) hanno soddisfatto solo l’1% del fabbisogno energetico mondiale, mentre petrolio e gas hanno contribuito per il
55% (il resto è stato colmato soprattutto da carbone e nucleare). Per questo gli analisti di Green Tech Media Research stimano che il mercato delle rinnovabili sarà quello con il maggiore
potenziale per i prossimi 20 anni. In 7 anni la quota energetica soddisfatta dalle rinnovabili dovrebbe moltiplicarsi per 6 volte, mentre la quota verde sul mercato elettrico arriverà al 23%. La
crescita media per l’eolico sarà del 6% e per il fotovoltaico del 11% all’anno mentre la domanda di petrolio crescerà solo dello 0,5%. Anche i costi di produzione delle rinnovabili
continueranno a diminuire col progresso della ricerca e con l’espansione del parco installato. Le più grandi compagnie energetiche potrebbero arrivare a destinare oltre il 20% dei propri
investimenti sulle rinnovabili di qui al 2030 proprio perché, mentre nel 2017 i guadagni nel settore upstream sono stati 33 volte maggiori rispetto a quelli prodotti dagli investimenti sulle
rinnovabili, nel 2035 questa forbice sarà ridotta di quasi due terzi rendendo sempre più remunerativi i capitali destinati alle energie verdi. Sempre al netto di premi, tasse e obblighi imposti
dalla legislazione.
Le ultime mosse delle
principali compagnie energetiche mondiali: Shell ha creato la nuova Divisione
Green Energy ora focalizzata soprattutto sull’eolico, ma – attraverso la sussidiaria Showa Shell Sekiyu – possiede Solar Frontier, il principale produttore giapponese di pannelli
fotovoltaiche. Nel mare del Nord sta cercando di bilanciare la crisi del Brent con piattaforme eoliche offshore.
Si è anche impegnata a ridurre le proprie emissioni di CO2 del 20% entro il 2035 e fino al 50% entro il 2050.
BP ha 14 impianti eolici negli Stati Uniti, ma ha abbandonato l’investimento in BP Solar cedendolo a Tata. Ha però reinvestito 200 milioni di $ in Lightsource, una delle più grandi
compagine europee nel settore solare.
Total ha dato 1,4 miliardi di $ per il 60% delle azioni dell’americana Sun Power, ma possiede anche quote di Stem e Sunverge che si occupano di stoccaggio e batterie.
Saudi Aramco ha annunciato che impegnerà 5 miliardi di $ con l’obiettivo di raggiungere 10 GW di produzione da rinnovabili entro il 2023.
Statoil ha deciso di puntare sulle startup creando il fondo Energy Ventures da 200 milioni di $ per finanziare i più promettenti nuovi business sulle rinnovabili.
In controtendenza, Repsol ha ceduto il mercato dell’eolico al largo del Regno Unito, prontamente acquistato dalla compagnia di stato cinese State Development & Investment Corporation.
Invece Chevron ha abbandonato l’investimento di 3 miliardi di $ nel geotermico in Indonesia e nelle Filippine cedendolo al fondo filippino Ayala. Il fondo ha l’obiettivo di ricavarne 2 GW
entro il 2020.
Exxon Mobil investe sulle tecnologie rinnovabili parte del miliardo di $ all’anno che dichiara di spendere sulla ricerca. Oltre agli studi per ridurre le emissioni di metano dagli
impianti di estrazione, la cogenerazione e una maggiore efficienza delle raffinerie, finanzia numerosi progetti, dall’uso di alghe e rifiuti per la produzione di biocarburanti alle celle a
combustibile che catturano la CO2 emessa dalle centrali termoelettriche. Con l’università Georgia Tech sta sviluppando un modo più efficiente basato su membrane semipermeabili
per separare dal greggio le frazioni utilizzabili per la produzione di plastiche.
Eni è stata la prima grande compagnia a impegnarsi nel settore delle energie rinnovabili. Nel 2007 ha destinato l’Istituto Guido Donegani – il principale centro ricerche Eni ed uno
dei più antichi e prestigiosi laboratori di ricerca industriale d’Europa – a centro ricerche per le energie rinnovabili e l’ambiente. Lì negli ultimi 10 anni sono state sviluppate oltre
160 invenzioni protette da oltre 500 brevetti e oltre 750 pubblicazioni scientifiche. Le principali tecnologie, ora in fase di avanzato impianto pilota o in fase di sviluppo industriale, spaziano
dalle celle solari organiche ai concentratori solari luminescenti, da nuove tecnologie per il solare a concentrazione alla conversione dei rifiuti umidi urbani o degli sfalci agricoli in
biocarburanti.
Entro il 2025 Eni conta di
portare a zero l’emissione di gas serra per flaring dagli impianti, di ridurre le emissioni dirette del 43% e quelle fuggitive dell’80% grazie a investimenti per 550 milioni di
€. Intanto, dopo la prima riconversione
al mondo di una raffineria convenzionale in bioraffineria a Venezia, Eni nel 2018 aprirà a Gela anche la seconda per una capacità totale di 1 milione di tonnellate di green
diesel all’anno. A questo si aggiunge la produzione di bio-intermedi chimici, bio fuels e bio lubrificanti da fonti rinnovabili a Porto Torres (Matrìca, jv paritetica
Versalis-Novamont), e progetti Versalis per metatesi di oli vegetali a Porto Marghera, oltre che di sviluppo di una piattaforma tecnologica per la commercializzazione della gomma
naturale e la resina da guayule*.
Entro il 2022 la produzione di energia Eni da fonti rinnovabili raggiungerà 400 GWh all’anno negli impianti basati in Italia e 2.500 GWh all’anno in Asia e
Africa con impianti fotovoltaici, eolici e ibridi. Grazie a investimenti di oltre 1,8 miliardi di €, Eni contribuirà a sottrarre al Pianeta
emissioni di CO2 per 28 milioni di tonnellate nei prossimi 4 anni.
Il
guayule*
Il guayule (Parthenium Argentatum), è un arbusto originario delle aree desertiche del Messico settentrionale e sud ovest degli Stati Uniti. Ha dimostrato di essere una promettente
fonte di gomma naturale di elevata qualità. La pianta non può essere destinata all’uso alimentare, richiede poca acqua e rappresenta una fonte alternativa di gomma naturale grazie alle
sue proprietà ipoallergeniche, a differenza della più comune gomma da Hevea.
Nei prossimi cinque anni nel mondo si costruiranno centrali elettriche “pulite” per una potenza complessiva di un milione di megawatt, pari alla metà di tutte le centrali a carbone costruite negli ultimi 80 anni. Di questi nuovi impianti alimentati con energia rinnovabile la fetta maggiore, 440mila megawatt, verrà dai pannelli fotovoltaici, cioè quelli in cui il silicio produce un flusso di corrente quanto viene colpito dalla luce del sole. Questi numeri sono citati da Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), e in sostanza ci dicono: prepariamoci al ribaltone energetico.
Tratto da IL SOLE 24 ORE